L’UNITÀ
SOCIALISTA E L’IMPEGNO DI RINO FORMICA
Scrive Formica nella sua nobile lettera:
“... incontrarsi è meglio che ignorarsi. Ma crediamo che ciò non sia sufficiente, anche se è necessario, per superare antiche discordie e polemiche di
annata...”. Bene, Rino ha messo il dito nella piaga. Molti compagni come me hanno perso lo stimolo attivistico (non quello di battagliare per le idee socialiste) a fronte della rivalità litigiosa dei dirigenti che appaiono più preoccupati di espandere se stessi che far rinascere il PSI.
Un male antico, micidiale che ha sempre tarpato le ali al più bel partito che
l’Italia potesse avere. Chi ha la mia età ricorda la scissione di Giuseppe Saragat, e di Tullio Vecchietti denotando
l’incapacità di convivere avendo diverse prospettive. Se Saragat fosse restato nel partito, il frontismo sarebbe finito dieci anni prima. Ed anche per Vecchietti
avremmo avuto una politica forte dieci anni prima di Craxi. E sono state le divisioni a rendere debole come il burro il PSI
all’attacco del gruppo di PM dalla scopertamente strumentale furia demolitrice.
Il PSI può rinascere più forte di prima se – come insegna Rino
Formica – fa tesoro della sua negativa esperienza storica, quando le
“correnti” facevano aggio sul partito (e come disse “il convento è povero, ma i frati sono
ricchi”).
Oggi col fallimento del governo di centro – destra, e l’incapacità degli ex comunisti di emanciparsi dalla loro cultura
settaria, il quadro politico è in movimento. Un PSI riunito potrebbe avere un felice futuro se i suoi dirigenti riusciranno a conquistare un nuovo metodo di unità politica con la ricerca interna del compromesso reciproco nella reciproca identificazione e negli accordi che salvaguardino la dignità di ognuno. Senza di che il nuovo partito socialista resterà un marginale cespuglio sotto la
“Quercia”, o il muro della “casa”, anche se qualcuno potrà godere anche di una qualche
sistemazione.
PIER
LUIGI BAGLIONI
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writer in Genova
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