DE MICHELIS A RAI EDU2
L’altra sera ho seguito nella TV satellitare il dibattito del programma GAP
(“Generazione alla prova”) condotto da Chiara Gamberale, in cui Gianni De Michelis, segretario del
Nuovo PSI, veniva intervistato da 24 giovani in studio.
Gianni De Michelis ha introdotto le sue argomentazioni rifacendo un po’ la storia del partito (e di Bettino Craxi) dalla caduta del Muro di Berlino fino al 1994, quando ci fu la fine, coi dirigenti che si collocavano chi sulla zattera
del centro – sinistra, chi su quella del centro – destra. Cose risapute e sofferte da noi socialisti, coscienti che tutta l’operazione giudiziaria (altro che
“magistrati matti”, come dice parlando a vanvera Berlusconi) fosse strumentale ad un obiettivo preciso, l’eliminazione del
concorrente vittorioso sul piano ideologico dopo la scissione di Livorno del 1921. Gli ex leninisti, alla maniera della mantide religiosa, rubati i panni dovevano mangiarsi i veri riformisti se volevano indossarli senza ricevere pernacchie. La fotografia la tratteggiò bene Ferruccio De Bortoli quando era direttore del Corriere della Sera: “Nel 1992 quando prese le mosse Tangentopoli, tutti eravamo sicuri che sarebbe stata una parentesi eccezionale, sgradevole ma necessaria al rinnovamento, e destinata ad esaurirsi in fretta. Chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e sugli eccessi non per amore di giustizialismo ne per assecondare le ambizioni della magistratura, ma nella speranza, quasi una certezza, che la mannaia avrebbe colpito indiscriminatamente uomini e partiti responsabili di corruzione, a destra quanto a sinistra. Poi ci siamo accorti che alcuni sono stati risparmiati o hanno ricevuto trattamento di riguardo, e si è creata una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera, chi al potere”. Ma la cosa più scandalosa, aggiungo io, è che l’artefice primo dell’inchiesta dei due pesi e due misure, nel bel pieno del suo lavoro abbandona la magistratura, bussa alla porta del segretario politico
“trattato con riguardo” e si fa dare un seggio senatoriale in un collegio toscano dove gli elettori voterebbero anche una capra se glielo chiedesse il partito.
Orbene, mentre Gianni De Michelis teneva la sua esposizione, la telecamera correva sui volti dei giovani che stavano seduti intorno ad ascoltarlo. Che dico, ascoltarlo? Proprio non direi. Avevano espressioni assenti, scocciate, insolenti. Gli leggevo nel pensiero: “Ma che cazzate dice questo socialista di minchia, che invece di nascondersi ci viene a fare un discorso pieno di mistificazioni”. Dalla mente, alla bocca:
appena possono fare le domande comincia la sfilza delle contumelie. Una ragazza legge un passo da
“l’Unità” del 1976 scritto da Enrico Berlinguer in cui esalta il suo partito (guarda caso già usando il termine
“mani pulite”), mentre la corruzione del PSI e della DC infuria: “Cosa era Berlinguer, un veggente?” gli domanda col candore degli ignavi la ragazza.
“No, nessuna preveggenza; soltanto doppiezza” risponde Gianni:
“Perché mentre scriveva quelle cose Berlinguer spediva lettere a Breznev chiedendogli quattrini per la campagna elettorale. Un reato di alto tradimento oltre che di corruzione”. Interviene allora un giovane che pare uscito dal Leoncavallo di Milano: “Come fa a dire queste cose di Berlinguer se poi difende quel ladro di Bettino Craxi?”, gli domanda apodittico.
Gianni De Michelis si altera, respinge l’epiteto; chiede discutere sulla vericidità delle sue argomentazioni; le lettere e i soldi presi dai sovietici da Berlinguer. Le parole scorrono come
l’acqua sui vetri. Il giovane non intende ragioni; ha la verità in tasca e nessuno, ma proprio nessuno, documenti o no, può togliergliela.
Il dibattito procede su questi binari, con Gianni che mantiene flemma e lucidità mentre io mi sarei imbufalito come un toro scatenato, non riuscendo
– caratterialmente – a discutere con i sordi peggiori, quelli che non vogliono intendere. Ma De Michelis è abituato. Ho ancora alla memoria la sua presenza all’assemblea del Consiglio di Fabbrica del Cantiere Navale al tempo di Bettino premier e la legge dei
“quattro punti della contingenza”. Il PCI prese il sentiero di guerra promuovendo il referendum abrogato, sbagliato e perso proprio da Berlinguer. Sono passati venti anni e sulla scena politica trovi i medesimi tetragoni, le stesse offese contro i socialisti. Ancora più insopportabili
perché i vecchi operai degli anni ’80 avevano i piedi ancora nelle scarpe di Stalin e Lenin. Questi giovani di GAP no; sono vissuti dopo il fallimento del PCI, perciò la cosa è grave (e poco educational).
PIER
LUIGI BAGLIONI
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writer in Genova
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