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Marzo 2002
Sezione
"Poster – Polvere di storia" – Pagina 34
QUEI
SOLDATI DELLA LIBERTÀ
di
Salvatore Natoli – già presidente della Regione Sicilia
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“Centonove”
La “questione siciliana” torna
d’attualità dopo il fallimento
dell’Autonomia. Un’epoca da riscoprire attraverso le storie di chi l’ha vissuta. Da Nitti a Turri.
MESSINA
– Non sono anti – italiano, non sono anti – europeo, non sono filo
– arabo, non sono filo – fondamentalista. Potrei ammettere di essere un fondamentalista siciliano ma
sarebbe un po’ difficile e lungo spiegarlo. Se c’è una cosa che ho sempre maldigerito è “la sufficienza del colto” ed
anche se si è cattedratici, dinanzi alla marea dello scibile umano, non si può che autoqualificarci “ignoranti”. Così l’ho sempre
pensata per me e per gli altri! Ciò posto, nulla diminuisce nella gratitudine che provo per quanti dimostrano interesse per quel
che ho scritto e, nemmeno il tono irato, lascia traccia alcuna. Però, non ho “spigolato” alla ricerca di mosche bianche. Semmai,
ho omesso, come nel caso della lettera del Garibaldi alla contessa Cairoli
che dopo le “sassate” era scritto: “essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo
odio” (1868).
Fra agosto e dicembre del 1862 oltre 2.000 persone furono arrestate a Palermo. Non pochi siciliani chiedevano asilo politico
alle rappresentanze diplomatiche straniere. Il Duca della Verdura, in una lettera a Crispi, riferiva: “Lo stato d’assedio qui
s’eterna. Si viola il domicilio, si arresta, si deporta, ogni libertà è
morta” (Mario Spataro – Separatismo in Sicilia). Nelle sue memorie l’ammiraglio inglese Mundy descriveva il giorno del plebiscito:
“Le due urne per votare erano quella del Si, elegantemente decorata di tricolore, e quella del No, grezza e sudicia,
distanti tra loro e visibili a distanza, ed il voto avveniva davanti agli occhi di centinaia di agitatori e picchiatori
filo – piemontesi urlanti” (Mario Spataro – Separatismo in Sicilia). Quel che avvenne
allora lo ricordava bene Antonio Gramsci quando ne “L’Ordine Nuovo” del 1920 così scriveva: “Lo Stato Italiano (leggi sabaudo)
è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le Isole, squartando, fucilando, seppellendo
vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti”.
Ruggero Settimo dopo i falliti moti rivoluzionari del 1848 si era rifugiato a Malta e, nonostante i ripetuti inviti delle autorità
piemontesi, non volle più rientrare in Sicilia ed ivi morì nel 1863. Comincia così la grande diaspora
del Popolo siciliano. Per disperazione o per fame un terzo dei siciliani lasciò l’isola. Rassegnato il commento
di Francesco Saverio Nitti: “Per il cafone meridionale o siciliano, non c’era alternativa: o emigrante
o brigante”. Questo è il vero volto dell’unità fallita! Vittorio Messori, pensatore cattolico e scrittore, nel
1990 prospettò l’esigenza di una “Norimberga morale del Risorgimento italiano” ma tanti (politici e storici)
si sentirono offesi nei sentimenti patriottici. Tutto questo lo sapeva bene il giovane professore dell’università
di Catania, Antonio Canepa (nel 1933, in pieno fascismo, aveva condotto un’azione dimostrativa
antifascista occupando per poco tempo la Repubblica di San Marino), e lo ricordava, dieci anni dopo,
quando scrisse il suo manifesto “La Sicilia ai siciliani”.
Ma torniamo a Palermo, ove il riconoscimento “de
iure” del governo Badoglio portò una reazione a catena nei mesi successivi. Badoglio seppe sfruttare la
situazione e da una specie di “cobelligeranza” passò alla dichiarazione di guerra alla Germania e al Giappone.
Ciò gli consentì di applicare contro gli indipendentisti e l’EVIS il codice militare di guerra.
Gli Alleati furono presi dal panico perché pur essendo essendo nel 1943 guardarono a questo evento con gli occhi
del 1945 (la Germania si arrese l’8 maggio). Nel giro di poco tempo riconobbero “de iure” anche loro
(USA, Gran Bretagna e De Gaulle) il governo Badoglio. Quell’inverno il fronte
si era stabilizzato sul Volturno e gli alleati avevano già restituito alla sovranità italiana le regioni liberate del
Sud tranne la Sicilia. Vi era un impegno d’onore, preso con Afa, di sottoporre a referendum popolare siciliano un simile evento.
Ma di questo impegno non tennero conto e tradirono così Afa, il MIS
(Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, ndr) ed il Popolo Siciliano. Non appena la sovranità
nazionale passò al governo di Brindisi, Badoglio si mise subito all’opera. Con le leggi di Mussolini ancora vigenti, proibì
la stampa indipendentista, chiuse Radio Palermo Libera (riaperta quasi subito per trasmettere solo i bollettini del governo
Badoglio) e chiuse le sedi del MIS. Alcune, facendole assaltare da militari in borghese e facendo poi pubblicare sui
giornali dell’Isola che il Popolo Siciliano offeso nei suoi sentimenti
patriottici, aveva reagito, assaltando e saccheggiando le sedi del MIS e quelle delle leghe giovanili separatiste.
A Messina, ove c’erano nel porto molte navi della marina militare, l’assalto fu condotto da alcune decine di marinai in
borghese, che distrussero mobili e bruciarono giornali, manifesti e volantini, senza far violenza ai pochi giovani che erano
nella sede. Intanto, i primi giovani siciliani cominciarono a prendere la via dei monti, ma l’episodio che portò il più dei
giovani ad arruolarsi nell’EVIS, fu l’eccidio del 19 ottobre 1944 a Palermo,
ai danni di una popolazione di donne e bambini che dimostravano davanti la prefettura, chiedendo pane.
Secondo il rapporto del funzionario ministeriale Dottor Consiglio i morti furono 26 e oltre 150 i feriti. Secondo una
inchiesta condotta dai partiti del CLN i morti furono almeno 30. Secondo le ammissioni fatte dal ministro Aldisio alla
stampa, 19 morti e 108 feriti. Un testimonio oculare, il dottor Pino Orlandi, parlò al quotidiano comunista
“L’Unità” (28 Ottobre 1944) di ben 90 morti. (Spataro – I primi
secessionisti, pagina 222). I volontari dell’EVIS aumentarono di numero:
altri giovani siciliani, dalle università ai licei e anche dalle campagne,
presero la via dei monti.
A livello di controllo del territorio, non fu facile gestire la lotta armata per l’indipendenza della Sicilia ma, sostanzialmente
i comandanti dell’EVIS ci riuscirono: solo in alcune zone ci furono contatti di gomito con le bande di briganti che,
allora, infestavano le campagne. Bisogna riconoscere ai capi dell’EVIS il merito indiscusso di aver resistito alla tentazione
di portare la lotta armata dentro le città, risparmiando così la vita di tanti innocenti, pur essendo consapevoli del maggiore
eco internazionale di ogni fatto d’arme avvenuto in città. L’EVIS era un esercito fatto di soldati della libertà e tale doveva
restare e tale restò sino alla fine. Aveva una divisa colore kakì, un fazzoletto rosso al collo e sopra il cuore erano
ricamati i gradi militari. Mario Turri (nome di battaglia di Antonio
Canepa, ndr) inseguì un sogno chiamato indipendenza e dopo l’agguato di
“Murazzu Ruttu” nella curva di Randazzo il 17 Giugno 1945, muore per dissanguamento
con Lo Giudice, per mancanza di cure nella città Ionia.
Carmelo Rosano è morto subito e quel giorno compiva diciannove anni. Solo dopo morto seppero tutti che Mario
Turri era il professore Antonio Canepa dell’università di Catania. Qualche mese prima Rosano, con altri
Evisti, aveva occupato la caserma della forestale di Sambuchello nel bosco
di Cesarò ed ad Attilio Castrogiovanni, che a mezzanotte era andato ad esortarlo di sgombrare per sottrarsi all’attacco
dell’esercito italiano, Rosano disse: “Castrogiovanni, ascoltami. Nella vita prima o poi bisogna morire. E solo chi
muore bene non muore mai” (Spataro, pagina 222). Era pronto a morire in combattimento ed invece fu ucciso nell’agguato
di Randazzo. Dei cinque Evisti si salvò, fuggendo, solo l’autista, Nino Velis (morto qualche mese fa a l’età di 81 anni
a Catania), mentre Canepa, Lo Giudice e Romano furono lasciati dai carabinieri al pronto soccorso di un ospedale.
Depositati ancora vivi, i carabinieri dissero che si trattava di tre briganti feriti in combattimento.
Quando al cimitero di Giarre furono portati le quattro bare per essere tumulate, il
custode del cimitero, Privitera, volle ispezionare le salme e trovò che uno dei morti ancora respirava. L’episodio è ripreso
nel film “Il sasso in bocca”. Si trattava di Giuseppe Romano, nome di battaglia Nando, che fino a pochi mesi fa era
ancora in vita. I combattenti dell’EVIS non odiavano il nemico ed i prigionieri presi venivano liberati. Così avvenne
nell’Agosto 1946 a Caccamo ove la città venne momentaneamente occupata e nello scontro a fuoco furono uccisi un ufficiale dei
carabinieri, due carabinieri ed un agente di pubblica sicurezza e fatti prigionieri 30 carabinieri.
Un secondo scontro a Caccamo avvenne al bivio di Sciara ove una colonna di carabinieri e poliziotti scortata da
autoblindo e mortai venne circondata sotto il monte San Calogero e vi fu un altro morto e parecchi feriti. Nel posto dell’eccidio
a Randazzo vi è una stele, a ricordo dei martiri, e da mezzo secolo non mancano i fiori
giallo – rossi e, da un trentennio, la commemorazione viene fatta dal presidente del
Fronte Nazionale Siciliano, Giuseppe Scianò, sempre con folta presenza popolare. Nel Parlamento siciliano la ricorrenza
è stata più volte ricordata dalla tribuna parlamentare, e l’oratore ha chiamato “italico, sabaudo e fascista” il primo
delitto di stato dell’Italia post – Mussolini. Badoglio, infatti, si
servì del SIM, così come l’aveva ereditato dal governo Mussolini al cui servizio aveva dato buona prova di sapere uccidere,
come in Francia con l’assassinio dei fratelli Rosselli avvenuto con la complicità dei “cagoulards
francesi”.
L’EVIS, con la morte di Mario Turri, accusò il colpo ma non finì ed anzi si riorganizzò con Concetto Gallo che ne divenne
il comandante ed assunse il nome di battaglia di Secondo Turri. In una villa patrizia palermitana Concetto Gallo ricevette
la bandiera giallo – rossa ricamata dalle donne di Palermo e quando gliela consegnarono, si inginocchiò, la baciò
e giurò fedeltà fino alla morte. La bandiera sventolò su monte Mauro la mattina di dicembre 1943 quando l’esercito italiano,
forte di tre mila uomini, agli ordine del generale Fiumara attaccò il campo Evista. Secondo Turri, che sin dall’inizio della
battaglia si collocò in posizione dominante, ebbe la mitragliatrice inceppata, lo scoppio vicino di una granata lo lasciò
tramortito ma indenne facendogli perdere la conoscenza, e gli salvò la vita il carabiniere piemontese Manzella sottraendolo
“in extremis” all’esecuzione sommaria. È ormai tempo che i siciliani riprendano a tessere il filo della memoria, spezzato
con l’annessione al Piemonte. I siciliani devono squarciare il velo dell’oblio che avvolge i fatti degli anni quaranta.
Il sangue dei caduti dell’EVIS e dei militari italiani portò, almeno,
alla firma luogotenenziale dello Statuto Speciale il 15 maggio 1946. Il 2 giugno 1946 fu eletta la Costituente e vinse
la Repubblica. Gli elettori siciliani della circoscrizione di Catania hanno fatto uso della “terrificante insularità d’animo dei
siciliani” attribuita loro dallo storico inglese Denis Mack Smith, eleggendo con il loro libero voto
Concetto Gallo e Attilio Castrogiovanni al Parlamento Nazionale. Passarono così dal
carcere a Montecitorio! In sede di convalida del voto che avvenne quasi all’unanimità, dei più dei 60 reati letti dal presidente
Terracini a carico del Gallo, circa 20 prevedevano la pena di morte. Al Parlamento
Nazionale nell’ultima seduta della Costituente, prima del voto del 18 aprile 1948, il decreto
luogotenenziale divenne legge costituzionale della Repubblica.
SALVATORE
NATOLI
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