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Socialismo & Sicilianismo

 

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12 Aprile 2002

Sezione "Poster – Storia" – Pagina 34

 

MIS, MIO CARO MIS

di Salvatore Natoli – già presidente della Regione Sicilia

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Fandonie, errori e mezze verità che hanno “sepolto” il movimento indipendentista siciliano. Che ora prova a risorgere dalle sue ceneri.

La riconquista della libertà in Italia dopo la dittatura fu un momento alto per la Politica. Il raffronto col presente lascia solo amarezze. Ecco perché.

 

MESSINA – Una fandonia, che dura da mezzo secolo, riguarda la quarantanovesima stella, cioè, come se il MIS voleva aggregare la Sicilia agli Stati Uniti d’America. Ripetuta nelle aule universitarie da insigni professori di formazione culturale marxista. Eppure, bastava leggere gli atti ufficiali del primo congresso del MIS a Taormina per scoprire, in maniera inoppugnabile, che in quel congresso i tre fautori di questa proposta furono espulsi con delibera congressuale dai lavori del congresso che ci celebravano in un albergo (Belvedere?) di proprietà del signor Bombara, messo gratuitamente a disposizione nonostante il divieto del questore di Messina.
Una curiosità è che a Catania il passaggio delle consegne, dopo l’arrivo dell’ottava armata di Bernard L. Montgomery, descritto nelle memorie di Guglielmo Una tessera del MIS, Movimento per l'Indipendenza della Sicilia. Di Carcaci, fu una sorpresa per gli inglesi allorché l’ultimo podestà di Catania, Antonino Paternò Castello, undicesimo marchese di San Giuliano, due volte pari del regno di Sicilia, si presentò con un fiore all’occhiello, un vestito impeccabile di tela, con il suo aspetto di aristocratico, slanciato nel fisico, con gli occhi azzurri e un sorriso affascinante per fare le consegne della città di Catania superbombardata. Dalle macerie di Catania il colloquio continuò nella quieta villa della Leucatia nell’ombra di un grande parco, alla presenza di Lord Gerald Wellesley (che qualche settimana dopo sarebbe diventato il settimo duca di Wellington), di Guy Elwes, uno dei rari Cavalieri di Malta cattolici del Regno Unito, e del conte di Shrewsbury, pari d’Inghilterra.
Grande fu lo stupore degli inglesi che pensavano di trovarsi di fronte un gerarca fascista alla Starace, colpo di tacchi e saluto fascista, ed invece avevano di fronte un gentleman siciliano che si rivolgeva nella loro lingua e li invitava a continuare il discorso nella sua casa suburbana (come poi avvenne) ove gli inglesi si trovarono come a casa loro. Ancor più lo furono quando videro sui bei tavoli incrostati d’avorio e di tartaruga le fotografie della loro famiglia reale con le dediche al nonno del loro Anfitrione. Dopo il tè e la conversazione, il governatore di sua Maestà britannica confermò nella carica di primo cittadino della città di Catania, l’ex podestà Antonino Paternò Castello.
Diversamente accadde a Caltanissetta ove il comandante italiano della piazza, colonnello Pagano, chiese all’ufficiale americano istruzioni per la consegna del materiale di casermaggio. Costui, che era un siculo – americano, gli rispose: “Ma che cazzo di consegne! Apra i cancelli e lasci che la gente si serva liberamente. Quanto a lei, si mette in borghese e si tolga di torno.” (Mario Spadaro, “I primi secessionisti”, pagina 147).
Un’altra fandonia è stata quella diceria che il separatismo siciliano fosse soltanto espressione della mafia e dei latifondisti preoccupati del “vento del nord” foriero di comunismo quando del mezzo milione di militanti attivi del MIS, solo meno del 20% era costituito da piccoli, medi o grandi proprietari terrieri.
Come si fa ad ignorare che nella storia di tutti i popoli i grandi e veri rivoluzionari non hanno più classe sociale di provenienza, ed uomini come Bakunin e Kropotkin erano padroni di immensi estensioni di terreni?
Gli errori di valutazione del movimento indipendentista da parte degli uomini politici di sinistra (Nenni e Togliatti) furono clamorosi. Entrambi videro nel MIS addirittura un rigurgito di fascismo ma dopo, corressero il loro giudizio, al punto che alla fine del movimento il Togliatti voleva accogliere nel PCI tutti i resti del MIS e fu il siciliano Girolamo Li Causi che glielo impedì nel timore di infiltrazioni mafiose nel PCI.
Lo stesso Li Causi (che aveva passato molti anni nelle galere fasciste) il 6 – 8 gennaio 1945 nella sua relazione al congresso costitutivo della federazione regionale del Partito Comunista Italiano affermava: “Noi comunisti di Sicilia siamo stati ed in un certo qual modo continuiamo ad essere dei separatisti”. (Marcello Cimino, “Fine di una nazione”, ed. Flaccovio, Palermo, 1977, pagina 16).
Li Causi era un oratore affascinante e molti studenti, comunisti e non comunisti, andavamo ad ascoltare i suoi comizi in siciliano, in Piazza Ballarò, che puntualmente cominciavano con picciotte e picciotti, prima di compagne e compagni.
La frase su riportata, faccio notare, è del 1945 e cioè 18 mesi dopo la venuta di Wischinsky in Sicilia.
Pietro Nenni, che aveva il dono di essere oratore nato, (cosa che nella mia lunga esperienza politica riconosco solo a lui ed all’on. Francesco Cocco Orto), dopo il suo “infelice” comizio a Messina, al cinema Savoia, ebbe a dire allo scrivente che lo accompagnava dopo la mezzanotte al porto per il traghettamento, che sarebbe ritornato in Sicilia per approfondire quanto aveva ascoltato da noi studenti. Lo avevamo “insolentito” mentre, al ristorante – bar Tribunali, consumava, con la figlia Giuliana, una cena molto frugale. Era in partenza per il congresso del partito laburista inglese di Harold Laski che dopo qualche mese portò alla vittoria di Clement Attlee su Winston Churchill.
Che momento alto della politica si visse allora e come tutto è triste, misero e buio oggi.
“Resistere, resistere, resistere” tuona il magistrato Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario a Milano, e mi ricorda il lugubre “resistere, resistere, resistere” di Carlo Scorza, ultimo segretario nazionale del PNF in coincidenza dello sbarco degli alleati in Sicilia, che avevano già superato “il bagnasciuga” di Mussolini ed alla vigilia della fine del fascismo, avvenuta il 25 luglio 1943.
Penso al ludibrio della televisione di stato sul delitto del piccolo Samuele a Cogne.
Le varie trasmissioni, a cominciare da quella di Vespa, hanno affondato impietosamente il coltello su una piaga della società contemporanea, accontentando i più reconditi e turpi sentimenti dei telespettatori italiani, morbosamente avidi di conoscere il colpevole, come in un qualsiasi romanzo giallo.
Penso all’offesa quotidiana arrecata ai kamikaze giapponesi che, sacrificando la loro vita, si illusero di cambiare il corso degli eventi bellici ma che mai si sognarono di uccidere un civile, quando si continuano a chiamare kamikaze i terroristi suicidi che massacrano nei ristoranti, nelle strade e nelle discoteche di Tel Aviv o di altre città d’Israele giovani, donne, uomini e bambini innocenti. Non so se è più forte il premio del Paradiso e delle vergini ovvero il premio di 10 milioni di dollari che Saddam Hussein fa arrivare alla famiglia del terrorista suicida. Io non so se ha ragione Oriana Fallaci nel suo ultimo libro americano in cui riferendosi alla politica che è, sempre, arte dello Stato, chiama il successo di Berlusconi uno scherzo della Storia italiana.
Ma mi piace ricordare una frase dello scomparso Indro Montanelli: “Abbiamo un debole per i capi di Stato che dicono quello che pensano. Solo, vorremmo che ogni tanto pensassero a quello che dicono”.
Penso a quel che costò in lacrime e sangue la riconquista della libertà in Italia dopo la ventennale dittatura.
Penso a quel che costò in lacrime e sangue l’Unità d’Italia alle popolazioni meridionali e siciliane. Il destinoManifestazione sicilianista in Piazza Ruggero Settimo a Palermo. che toccò alla marineria e cantieristica duo – siciliana. La cantieristica del sud era all’avanguardia in Europa e nel cantiere di Stanislao Filoso al ponte di Vigliana presso Napoli fu varato il primo vascello a vapore del Mediterraneo. Al cantiere di Castellammare di Stabia, il più grande del Mediterraneo, lavoravano 1.800 operai al momento della conquista piemontese.
Il brigantino siciliano “Oreto” al comando del capitano Bonaventura Consiglio, proveniente da Palermo, attracca, primo bastimento italiano, a Boston (1818). I legni siciliani solcavano i mari dall’Atlantico del Nord al Sudamerica alla ricerca di nuovi mercati, e l’armatore palermitano Gioacchino Riso dopo 13 mesi dalla partenza, rientra con il suo legno a Palermo, dopo aver doppiato il capo di Buona Speranza e caricato in Malesia mercanzie e spezie e tra queste la più pregiata: il pepe nero (1839).
La marineria duo – siciliana competeva con i legni inglesi, francesi, olandesi e spagnoli sui mari del mondo.
Non fu solo la Sicilia a pagare un prezzo altissimo all’unità d’Italia: le fonderie calabresi furono presto
smantellate! Arrivò la carta moneta italiana ed il deputato Luigi La Rosa durante il suo discorso tenuto nel maggio 1944 a Santa Maria di Licodia per il MIS tradusse in italiano questi versi popolari siciliani risalenti al 1861:
Con una canna in mano rimase la Sicilia, / il bel regno è finito a gambe all’aria, / oro e argento si sciolsero in aria, / di carta l’han vestita la Sicilia.

 

SALVATORE NATOLI

 

Clicca qui per leggere la scheda di approfondimento su “Le ultime parole di Finocchiaro Aprile” pubblicata nello stesso numero di “Centonove” 

 

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